Il Maestro Dore riesce a dipingere la natura che Dio ha creato con cultura pittorica e con colori soavi e dolci, le “nature vive” incitano ad essere prese dalla tela tanto il Maestro Dore sa dare “vita” ad ogni opera.
Augusto Giordano
Giornalista Rai
Il principio della scienza della pittura è il punto, il secondo è la linea, il terzo è la superficie, il quarto è il corpo che si veste di tal superficie; e questo è quanto a quello che si finge, perché invero la pittura non si estende più oltre che la superficie, per la quale si finge il corpo figura di qualsiasi cosa evidente.
Leonardo Da Vinci

Nel mio lavoro di critico, ormai molto più che ventennale, ho sempre modestamente cercato, per quanto possibile, di consegnare al lettore-spettatore, attraverso analisi, immagini analogiche, metafore, alcuni strumenti possibili per accostarsi a ciò che ritenevo e ritengo essere il filo essenziale che lega il corpus delle opere di ogni singolo artista, pittore o scultore che sia. I miei pochissimi lettori si sono sovente imbattuti in termini quali flagranza o astanza, mutati dal grande e compianto storico dell`arte, nonché raffinato studioso di metodologia critica, Cesare Brandi. Scrivo questo perché nel caso di un pittore quale Franco Dore (o, come in passato, Benfenati) è bene porre un preambolo. nel 1966 Susan Sontag aveva implacabilmente diagnosticato che "la nostra è una delle epoche in cui l`idea di interpretazione è generalmente reazionaria e soffocante. Come le esalazioni dell`automobile e dell`industria pesante inquinano l`atmosfera, così le emanazioni delle interpretazioni artistiche avvelenano oggi le nostre sensibilità. In una cultura in cui il problema ormai endemico è l`ipertrofia dell`intelletto a scapito dell`energia e della capacità sessuale, l`interpretazione è la vendetta dell`intelletto sull`arte. E` la vendetta dell`intelletto sul mondo. Interpretare è impoverire, svuotare il mondo, per instaurare un mondo spettrale di significati". Dopo neppure tre decenni da questi scritti, la vendetta era definitivamente compiuta. cattedre si semiotica dell`arte ormai crescono e si moltiplicano senza freni in quasi tutte le Università del Bel Paese, come funghi velenosi sulla muffa del Niente, nuova categoria anagrafica della cultura occidentale. Si racconta che, ed è aneddoto esemplare, un neosemiologo incontrando Roberto Longhi (le cui magie attributive non avvenivano certo per addizioni semantiche) ebbe a dirgli: "Maestro, in fondo quello che lei definisce Forma noi lo chiamiamo Linguaggio". E Longhi rispose: "Bene, facciamo allora Formaggio e non ci pensiamo più". Questo per dire, alla Brandi, che la differenza radicale tra un`opera d`arte e un messaggio è la stessa strumentalità del messaggio a cui non può essere ridotta ogni vera opera d`arte, senza, con questo, distruggere l`opera d`arte o produrre qualcosa d`altro. L`opera d`arte non dice assolutamente nulla, se non la propria presenza, sostanziata esclusivamente dal gruppo di elementi di percezione in cui si struttura e che ovviamente, possono implicitamente o esplicitamente veicolare messaggi e storia, ma che sicuramente non possono sciogliersi in messaggi e storia, come zucchero nell`acqua calda. In ogni opera d`arte, dunque, v`è una presenza irriducibile che solo la coscienza dell`uomo (intesa fenomenologicamente) può apprezzare. Chiariti questi presupposti è bene avvertire lo spettatore su quello che l`opera di Dore non è. Non è iperrealistica (per questo è sufficiente notare le dimensioni dello spazio in cui l`artista lavora). Non è realismo magico o metafisico (le sue atmosfere sono prive di ammiccamenti pensosamente sofisticati). Non è competizione con l`obbiettivo fotografico, poiché ogni suo quadro è il risultato di una lunga e faticosa marcia cromatica costantemente evolutasi sotto la vigilanza dell`autore e che, al termine del percorso, si distanzia dallo stesso pittore, assurgendo a causa sui. In realtà per Franco Dore, la cui formazione avviene presso la bottega di Silvio Bicchi (e, quindi, per vie ascendenti, arriviamo a Fattori), ogni oggetto diviene occasione di meticolose esplorazioni. Il suo sguardo è straordinariamente attento ai dettagli, alle ombre. Ogni suo quadro è un esercizio di seduzione, un ricamo freddamente fiabesco della realtà. Alla fin fine, egli ottiene di trasformare il mondo in un uovo di Colombo. Perché dipingere, ad esempio una spiaggia, una distesa sassosa? E` meglio restringerla a un certo numero di sassi: quasi una sineddoche. E perché lasciare quei sassi in balia della loro solitudine, quando possono colloquiare tranquillamente con una tromba e un cartiglio, senza fremiti surrealistici? Le sue teiere d`argento, le uova, eccetera, lo sappiamo bene, ce lo ha insegnato Magritte, non sono teiere d`argento, non sono uova, non sono eccetera. Sono "semplicemente" valori plastici sostenuti da un magistrale brulichio di colori, lunga e paziente decantazione di una mente volta alla visione, intimistica e spettacolare al tempo stesso, del pulviscolo con cui son fatte le cose di questo sempre più negletto pianeta. L`altissimo livello di oggettivazione di Dore si carica puntualmente di screziature malinconicamente ironiche, nella consapevolezza che i particolari, oltre a raccontare storie, sono più importanti della storia stessa. Il pastello secco di Franco è il suo bisturi quotidiano che taglia e seleziona con assoluta bravura la sontuosità imprendibile del reale, in un processo per eccellenza inesauribile. Così, guardando le sue opere, non chiedetevi mai cosa esse "significano", bensì limitatevi, limitate l`ingolfante intelletto, a sintonizzarvi esclusivamente su questi gioielli, su queste presenze senza rimandi, su queste modalità non semiotiche. Queste pitture, signori e signore, sono arte.
Stefano Santuari